…che tu sie dei miei prieghi cortese in Fano..

Quando la montagna dirada e diventa collina, e dalla splendida Gola del Furlo si arriva verso Sant’Andrea in Villis e giù fino a che si intravede il mare dove arriva il fiume metauro,  si apre alla vista Fanum fortunae, l’antica cittadina citata da Caio Giulio Cesare e tutt’oggi chiusa nelle sue antiche mura, dove arrivava  la via Flaminia e  traffici e commerci l’hanno resa florida e nota. 

Dante Alighieri la conosce  e la cita due volte nella sua Commedia. Ma si  tratta in entrambe le occasioni della presentazione di personaggi illustri che fanno riferimento a  due momenti storici molto importanti. Il paesaggio è solo interiore e morale, e anche se non è il poeta a cercare alcuna connessione con le sue strade  e la sua architettura, l’appiglio di una lapide consente di sottolineare la bellezza del paesaggio, questa volta urbano.

La prima citazione si riferisce alla presa di potere dei Malatesta nella città: nella nona bolgia del cerchio ottavo dell'Inferno infatti Pier da Medicina, un personaggio sulla cui identità ci sono varie ipotesi,  profetizza l'uccisione dei due esponenti delle principali fazioni fanesi Guido del Cassero e Angiolello da Carignano (“i due miglior da Fano”) per opera di Malatestino Malatesta (“quel traditor che vede pur con l'uno”, perché aveva un occhio solo): invita Dante a dire a Guido del Cassero e Angiolello da Carignano del brutto tradimento del quale saranno vittime e che li vedrà morire in modo violentissimo.

Il fatto è presumibilmente accaduto nel corso del secondo decennio del sec. XIV, e non prima del 1312,  quando, si manifestano le aspirazioni di Malatestino per una sua signoria a Fano.  La fosca profezia è di Pier da Medicina che è un dannato fra i seminatori di scandali e di scismi nella nona bolgia infernale e viene fatta in una situazione poetica esasperata, dai colori accesi di scene di sangue e dal motivo insistente del tradimento ed è terrificante: i due fanesi sarebbero stati fatti assalire dal tiranno di Rimini durante il viaggio di ritorno in patria, dopo un loro incontro col Malatesti, e poi fatti rinchiudere in sacchi tenuti a  e annegare al largo del promontorio di Focara, a breve distanza da Cattolica; il termine usato è mazzerati. Dante commenta che una simile infamia non si era mai vista in tutto il Mediterraneo. Il corpo viene ritrovato e portato a Fano, sepolto nella chiesa di san Domenico dove una lapide ricorda l’atroce fatto. Ora la lapida si trova nel Museo Diocesano.

La seconda menzione di Fano  è per l'episodio di Iacopo del Cassero, Purgatorio canto V, 64-84, il quale si rivolge a Dante perché solleciti i suoi parenti che preghino per la sua anima affinchè venga accellerata la sua sosta nell’antipurgatorio, dove si trova per essere morto in modo violento: “ti priego, se mai vedi quel paese / che siede tra Romagna e quel di Carlo, / che tu mi sie di tuoi prieghi cortese / in Fano”.

Il nobile fanese Jacopo del Cassero fu magistrato guelfo di Fano e tra il 1288 e il 1289 partecipò con i Guelfi marchigiani alleati a Firenze alla battaglia di Campaldino contro i Ghibellini di Arezzo. Qui probabilmente conobbe Dante. Nel 1296 fu podestà a Bologna e si oppose alle mire di Azzo VIII d'Este, signore di Ferrara, che gli giurò vendetta: chiamato come podestà a Milano nel 1298, Iacopo, per evitare di passare nel territorio estense, andò per mare a Venezia e di lì attraversò il padovano. Ad Oriago, sulle rive del Brenta, fu raggiunto dai sicari di Azzo e assassinato.

In entrambe le vicende che fanno riferimento a Fano, il tema è quello della inutilità della vendetta e della violenza nelle vicende umane; Fano fa da sfondo morale mai troppo descritto di un monito che fa appello alla onestà e alla correttezza nella esistenza umana contro i tradimenti e le vendette. 

La lapide con il riferimento dantesco spinge nella  bella chiesa di san Domenico ma da essa anche a tutte le altre che ingioiellano Fano di capolavori di epoche diverse.